Nel mese di settembre 1944 diverse sono le azioni della Brigata Val Casotto, in cui Renato è Comandante di Distaccamento e Commissario di Brigata, fino a quando
il 24, a Torre avviene lo scontro con una pattuglia tedesca. Sono presenti Glaray Renato e Lubatti Giuseppe. Il primo viene ucciso, mentre il secondo rimane solamente ferito e verrà fucilato ad Altare il 3 di novembre.
Il Sacrario Partigiano a Bastia Mondovì, inaugurato nel 1947, custodisce i resti di diversi caduti della guerra di Liberazione e ricorda i nominativi dei caduti del 1° Gruppo Divisioni Alpine delle Formazioni Autonome che combatterono in zona. In una delle 831 lapidi, è anche ricordato Renato Glaray.
Renato Glaray (Renato), militò nella Banda Valle Stura dall’inizio di maggio alla fine di agosto 1944. Il mese di settembre lo vide come Comandante di Distaccamento (Capitano) e Commissario di Brigata nella 4ª Divisione Alpi fino a quando cadde in combattimento il 24 settembre 1944 a Torre Mondovì.
Renato Glaray non è ricordato a San Mauro nella colonna del monumento ai caduti per la guerra di Liberazione, ma solo nel Viale della Rimembranza.
Fotografie e testo sono tratti dal mio libro “Sanmauresi nella Resistenza: tracce e percorsi”, Araba Fenice, 2024.
Così dal libro di Mauro Sonzini “Abbracciati per sempre”:
Il 10 maggio 1944 la Val Sangone viene investita da uno tra i più efferati rastrellamenti dell’occupazione nazista in Italia. Nata in ritorsione all’attacco di Cumiana d’inizio aprile. L’operazione il cui nome in codice “Habicht (Astore)” è al comando del colonnello Ludwig Buch e si prefigge l’obiettivo, nell’arco di otto giorni, di annientare la presenza partigiana in valle, innescando una frattura con la popolazione civile. L’operazione in tre fasi (attacco militare, inibizione della popolazione, esecuzioni di massa) si chiude il 18 maggio con un’impressionante scia di morte e distruzione: oltre 100 partigiani uccisi, diverse borgate saccheggiate, devastate e bruciate, un imprecisato numero di deportati, tre stragi di massa (Pinasca, S. Antonino e Forno di Coazze).
Sergio De Vitis, comandante della Banda Sergio, cerca di portarsi fuori dal rastrellamento e all’alba del 12 maggio manda in avanscoperta un gruppo di cinque partigiani seguito a distanza dal resto della banda. Valerio Martoglio ventiduenne, comanda il gruppo che comprende Vincenzo Governato ventenne, Pietro Morello diciannovenne come pure Giuseppe Staorengo e Aurelio Del Martino. All’altezza del rifugio Geat nel vallone del Gravio cadono però in un’imboscata: i nazisti li attendono,
li sopraffanno, li interrogano, li torturano e infine li trucidano. I loro corpi saranno quindi recuperati dai civili, provvisoriamente interrati in una fossa comune a ridosso del rifugio e, da novembre 1945, tumulati nell’Ossario dei Caduti di Forno di Coazze. I componenti del drappello saranno tutti insigniti di medaglia al valor militare: a Martoglio andrà quella d’argento, agli altri quella di bronzo.
Pietro Morello, di Domenico e di Paparello Teresa, nato il 1925.02.13 a S. Mauro Torinese, residente a Torino in Strada Superga 37, Partigiano della 43ª Divisione De Vitis dal 1944.02.27, caduto il 1944.05.12 in combattimento al rifugio Geat nel Vallone del Gravio durante il rastrellamento di maggio in Val Sangone,
A Pietro fu concessa la medaglia di Bronzo con la motivazione:
Animato da puri sentimenti patriottici, entrava all’armistizio nelle locali formazioni partigiane di montagna, per combattere l’oppressore. Durante un pesante rastrellamento nemico, pur battendosi validamente, veniva catturato. Sottoposto ad atroci torture e sevizie, sopportava ogni brutalità, preferendo la morte piuttosto che svelare notizie che avrebbero danneggiato le forze partigiane della sua formazione Vallone del Gravio (Torino), 10 maggio 1944.
Pietro Morello è sepolto e ricordato insieme alle molte altre vittime del nazifascismo nell’Ossario dei Caduti della lotta di Liberazione a Forno di Coazze – Cimitero di Guerra. Una lapide lo ricorda in S. Mauro nel parco della Rimembranza all’ingresso del Cimitero, ma non nel monumento ai caduti.
Fotografia e testo sono tratti dal mio libro “Sanmauresi nella Resistenza: tracce e percorsi”, Araba Fenice, 2024.
Nel maggio 1944 la risposta al rastrellamento del Vallone dell’Arma nel cuneese rappresentò un significativo risultato a favore delle bande partigiane per la capacità dimostrata di saper rispondere e combattere il nemico. Il 27 aprile si registrò, però, la cattura di 14 giovani partigiani a Castelmagno e la fucilazione di 13 di loro il 2 maggio a Borgo San Dalmazzo; tra essi Vittorio Ferrero.
In realtà 14 furono i catturati tra cui i fratelli Quaranta Michele e Giuseppe, ma Michele, il più anziano. obbligato, scelse di morire in cambio della vita del fratello minore, che verrà deportato a Buchenwald da cui tornerà l’8 giugno 1945. Gli altri furono fucilati a coppie alla presenza dei restanti in attesa. I primi due furono Beppe Lerda e Vittorio Ferrero.
Chiamano Beppe Lerda e Vittorio Ferrero. Li costringono ad abbandonare le scarpe, a camminare a piedi nudi. Li legano ai pali, li bendano. Poi le raffiche e i colpi di grazia al cuore o alla testa. Poi sistemano i primi due nelle casse, e avanti altri due. Chi dirige le operazioni è il maresciallo tedesco, quello di Tetto Gallotto.
Tra i fucilati anche l’ufficiale Riccardo Boschiero, proveniente dalla IV Armata, sottotenente di complemento degli alpini, ufficiale della banda di Boves, poi in valle Ellero, quindi comandante di distaccamento della II banda del 2° settore.
Vittorio Ferrero, nato il 24 febbraio 1924 a Brusasco, residente a S. Mauro Torinese, fu partigiano nella “1ª Brigata Valle Stura – Rosselli” della 1ª Divisione Alpina GL [GL, dal primo maggio 1944, catturato dai tedeschi a Castelmagno il 27 aprile e tenuto prigioniero fino al 2 maggio 1944 quando morì fucilato nel comune di Borgo San Dalmazzo.
A Vittorio fu concessa la medaglia di bronzo al VM con la motivazione:
Audace e generoso partigiano, si aggregava volontariamente a un distaccamento che aveva il compito di resistere ad oltranza contro l’avversario incalzante. Durante varie ore di lotta continua dava prova di tenace volontà, di salda disciplina e di indomito valore. Catturato, sopportava stoicamente sevizie e torture e preferiva la morte piuttosto che piegarsi alla volontà dell’oppressore. Cadeva sotto il piombo nemico al grido di “Viva l’Italia”. Castelmagno (Alta Valle Grana) – Borgo S. Dalmazzo (Cuneo), 2 maggio 1944.
Vittorio è ricordato in San Mauro Torinese nella Colonna del Monumento ai Caduti e con tutti gli altri giovani in una lapide posta il 25 aprile 2009 a Borgo San Dalmazzo nella piazza 2 maggio che ne ricorda l’eccidio.
Fotografia e testo sono tratti dal mio libro “Sanmauresi nella Resistenza: tracce e percorsi”, Araba Fenice, 2024.
Giovanni Boccardo, soldato nel 3^ Reggimento Alpini Battaglione Val Dora, partecipò alle operazioni di guerra che si svolsero dall’11 al 26 giugno 1940 alla frontiera alpina occidentale, durante l’invasione della Francia. Successivamente fu trasferito al Battaglione Alpini Exilles con cui si recò in Montenegro e dal 3 settembre 1942 partecipa alle operazioni di guerra che colà si svolgono fino alla data dell’armistizio. Da quella data molto probabilmente seguì le sorti del Battaglione Exilles guidate da Armando Farinacci fino al momento della resa dopo il 14-15-16 settembre 1943. Boccardo non scelse la strada della resa e deportazione in Germania ma si legò, invece, agli alpini della Taurinense che rimasero in Montenegro, si unirono alla divisione Venezia e continuarono i combattimenti contribuendo alla nascita della Divisione partigiana Garibaldi in cui confluirono.
Nel marzo 1944 Boccardo è nell’ospedale di Kolasin (Montenegro) ricoverato per malattia polmonare fino al giorno 31 quando muore “in seguito a pleurite congestione polmonare (contratta in zona di operazioni)”. È sepolto a “Kolasin nel cimitero militare italiano (davanti alla caserma)”.
Risulta quindi aver partecipato alle operazioni di guerra che si svolsero in Jugoslavia con la formazione partigiana Divisione Garibaldi dal 9 settembre 1943 fino al 31 marzo 1944 data del decesso e che gli è riconosciuta la qualifica di partigiano caduto. Il Comando della Divisione Italiana Partigiana “Garibaldi”, il 17 novembre 1945, gli assegnerà il “Diploma d’Onore” alla Memoria (n. 5508):
Si certifica che il Garibaldino Boccardo Giovanni di Benedetto dal 8 settembre 1943 al 31 marzo 1944 ha appartenuto alla Divisione Italiana Partigiana “Garibaldi” nella guerra di liberazione condotta in Jugoslavia contro la Germania.
Infine, nel 1980 l’Associazione Pensionati Sanmauresi decise di intitolare il Circolo ARCI, che stava nascendo, al nome di un partigiano. La scelta cadde su Giovanni Boccardo, nome estratto a sorte fra quelli dei caduti sanmauresi presenti nel monumento a loro dedicato. Nacque così il “Centro Sociale Boccardo”.
Fotografia e testo sono tratti dal mio libro “Sanmauresi nella Resistenza: tracce e percorsi”, Araba Fenice, 2024.
Luigi Manolo Agnello, soldato nel 3^ Reggimento Alpini – Battaglione Exilles – 32^ Compagnia, era nei Balcani all’8 di settembre 1943 quando fu annunciato l’armistizio. Da quel momento partecipò alle azioni del Battaglione Exilles guidate da Armando Farinacci fino al 14-15-16 settembre quando Farinacci annunciò la resa. Sciolto il reggimento, 22 degli alpini sanmauresi furono disarmati e tradotti in Germania in prigionia. Agnello fece invece parte degli alpini della Taurinense che rimasero in Montenegro, si unirono alla divisione Venezia, continuarono i combattimenti e contribuirono alla nascita della Divisione partigiana Garibaldi in cui confluirono.
All’inizio di febbraio 1944 Luigi Agnello si trova nella zona di Rogatica in Bosnia: il giorno 3 durante i combattimenti a Barnik una pallottola gli trafigge il braccio destro provocandone la morte. Viene sepolto a Barnik. L’atto di morte conservato nell’Archivio Storico del Comune di San Mauro porta la firma del colonnello comandante Carlo Ravnich.